ISTRUZIONE SPILLA

15 marzo 2024

Stefano Levi DellaTorre - Rivista 'Gli asini'

In vista dell'incontro di Mercoledì proponiamo alcuni articoli di Stefano Levi Della Torre utili a inquadrare il suo approccio e preparare all'incontro, l'amico Giovanni Leone ci ha inviato queste pagine.





Stefano Levi Della Torre è laureato in architettura a Milano, dove vive e insegna alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.
D'origine ebraica piemontese e aostana, ha visione laica, socialista e liberale, che però non lo tengono lontano dallo studio delle tradizioni e da scrivere su diversi giornali con interventi politici e di riflessione sull'ebraismo. È stato membro del "Consiglio della Comunità Ebraica" di Milano.
Nel 1992 è stato invitato dal cardinale Martini alla Cattedra dei non credenti.
È pittore che espone raramente, architetto e saggista, si occupa di critica d’arte, letteratura e pensiero ebraico.
I suoi saggi ruotano attorno a diaspora, sionismo, fede e credenze, conflitti tra umanità e divino. Ha vinto il Premio Pozzale Luigi Russo nel 1995.

https://gliasinirivista.org/autore/stefano-levi-della-torre/


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3-Per la rivista “Gli asini”, a Mauro Boarelli.

Israele dall’aggressione di Hamas alla guerra contro i

palestinesi.

di Stefano Levi Della Torre.    7 dicembre 2023

1 -Nell’imminenza dell’irruzione di Hamas nel sud di Israele, il 7 ottobre2023, diverse soldatesse israeliane adibite alla sorveglianza tecnologica del confine verso Gaza avevano avvertito il comando di movimenti anomali al di là del confine. Al loro allarme non fu dato peso. Un piano di aggressione di Hamas –riporta il New York Times a fine novembre – era, già da un anno a conoscenza dell’intelligence israeliana, che l’aveva giudicato inattuabile. da Hamas. Comunque il governo, aveva concentrato le forze militari più a nord a sostegno dell’espansionismo dei coloni sulle terre palestinesi in Cisgiordania lasciando sguarnita la zona verso Gaza.

Queste disposizioni hanno di fatto aiutato Hamas a scatenare, dopo due anni di preparazione indisturbata, il grande pogrom, approfittando del giorno festivo di Shabbat. Sono fatti che spiegano la facilità dell’irruzione, il tempo lungo della strage, degli stupri, delle mutilazioni, decapitazioni, sgozzamenti, roghi ; e spiegano i ritardi dei soccorsi che non hanno salvato neppure le soldatesse che avevano lanciato l’allarme: 1.200 assassinati, 240 ostaggi trascinati a Gaza.La crudeltà dell’aggressione, esibita e pubblicizzata nei suoi particolari atroci come osceno vanto guerresco, non può nascondere le responsabilità del governo nell’ aver trascurato le avvisaglie e dilazione dell’intervento sul luogo.

La più grande strage di ebrei della prima metà del XXI secolo ha sconvolto Israele. Il dolore familiare per gli uccisi e i rapiti – bambini e anziani , donne e uomini- è diventato una profonda angoscia collettiva,

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richiamando all’attualità una memoria di massacri che fa da sfondo permanente alla stessa identità ebraica, in qualunque forma, laica o religiosa, si presenti. Ha rivelato una non superata vulnerabilità di Israele, nato per rassicurare e ancora una volta esposto, e così atrocemente, all’incertezza del presente e del futuro. La deterrenza di Israele, sua garanzia di durata, è stata compromessa.

Sullo sfondo di quel massacro e di quelle sottovalutazioni, un fatto determinante: la convinzione della destra israeliana e dell’opinione diffusa in Israele che la questione palestinese fosse stata ormai domata e resa irrilevante, impotente di fronte alla vessazione sistemica nei territori occupati. In questo modo, il governo israeliano di ultradestra ha offerto a Hamas l’occasione per tentare di affermarsi come rappresentante ed egemone in senso islamista della questione palestinese lasciata indefinitamente senza prospettive.

La sottovalutazione dei pericoli latenti ha inoltre incoraggiato il governo Netanyahu ad una linea irresponsabile: quella di spaccare in due il paese, annunciando la sua ferma intenzione di stravolgere il sistema giuridico liberale con una riforma autoritaria volta a trasformare la democrazia israeliana in una “democratura” affine all’Ungheria di Orbàn, con il quale Netanyahu intrattiene ottimi rapporti politici e personali. Contro questo, metà del paese si era mobilitata in grandi manifestazioni di massa, di settimana in settimana. La sottovalutazione illusoria della questione palestinese, la conseguente dislocazione dell’esercito verso la Cisgiordania, non in funzione difensiva ma a sostegno dell’offensiva dei coloni su terre palestinesi, la spaccatura del paese provocata dal governo: questi tre fattori si sono combinati tra loro, a favorire l’attacco di Hamas da Gaza.

Il 7 ottobre Israele è stato vittima, ma la politica del suo governo e della sua destra non sono innocenti.

2 - Dal 7 ottobre Israele si è trovato di fronte a un dilemma: dare la priorità alla distruzione di Hamas o alla liberazione degli ostaggi? La prima opzione non presupponeva trattativa (in base al principio “assoluto” ma

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spesso smentito che “coi terroristi non si tratta”); la seconda presupponeva invece trattativa. Netanyahu ha dichiarato prioritario l’obiettivo di distruggere Hamas precipitandosi a spianare Gaza per ricostituire la deterrenza di Israele ferita, a copertura dei suoi stessi errori di governo.

Altra cosa sarebbe stata gestire la condizione di Israele come vittima di aggressione, dando priorità alla liberazione degli ostaggi. Questo avrebbe elevato Hamas a partner di trattativa, ma posto in una luce migliore agli occhi del mondo le ragioni di Israele. Un diniego di Hamas a una proposta di trattativa sugli ostaggi ne avrebbe enfatizzato agli occhi del mondo il ruolo di aggressore, e maggiormente giustificato la ritorsione di Israele su Gaza. Ma la trattativa sugli ostaggi non fu un’iniziativa di Israele, fu tardivamente subita da Israele sotto la pressione dei parenti dei rapiti, degli Stati Uniti e del Qatar, preoccupati di contenere il conflitto. Con questi modi e tempi, la trattativa è stata un risultato politico per Hamas, più che se fosse stata proposta inizialmente da Israele. Nello scambio tra la liberazione di ostaggi israeliani e la liberazione dalle carceri israeliane di molti bambini, donne e uomini palestinesi, Hamas ha aumentato tra i palestinesi della Cisgiordania il suo ascendente non solo di “vendicatore”, ma anche di “liberatore”; e ha esposto agli occhi del mondo quell’obbrobrio giuridico vigente nei territori occupati qual è la “detenzione preventiva” che depriva i reclusi di accuse specifiche, di difesa legale e di tempi certi di detenzione. Il frastuono della guerra non copre le responsabilità politiche e morali di Israele, di cui si nutre Hamas.

3 - Hamas è“terrorista”, ma il terrorismo è anche una politica condotta con “altri mezzi”. Qual è la politica di Hamas? Sollevare la questione palestinese dalla sua stagnazione forzata per torcerla in senso islamista e fondamentalista e rilanciarla contro Israele e la sua esistenza, inserendosi da protagonista nelle tensioni della regione in sintonia con la geopolitica dell’Iran e dei suoi alleati (gli Ezbollah del Libano e gli Huthi dello Yemen) per bloccare la fase conclusiva degli “Accordi di Abramo” tra Israele e Arabia Saudita, nonché il processo di normalizzazione tra Israele e paesi arabi (Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Marocco).

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Per lunga premeditazione o comunque di fatto, la barbarie dell’aggressione di Hamas, presenta tre aspetti: la sua efferatezza è un’esibizione clamorosa per porsi in primo piano rispetto all’inerzia dell’Anp di Abu Mazen a Ramallah; la sua sorpresa è un’esibizione di potenza che umilia la deterrenza di Israele; la sua crudeltà è un ricatto a Israele, perché si senta costretta a reagire nell’immediato e cada nella trappola di una ritorsione senza limite: strage di massa e devastazione di Gaza, con conseguenze militari, politiche e di immagine disastrose nel lungo periodo per Israele, ma corona di martirio per le sue vittime palestinesi davanti al mondo. Non si può pensare che Hamas non avesse previsto di esporre con la sua azione la popolazione di Gaza a una rappresaglia durissima. Perciò questo doveva essere un suo punto strategico. Da un lato la ritorsione a cui Israele era provocato avrebbe confuso miliziani e civili in un comune martirio sacrificale al cospetto del mondo, dall’altro avrebbe trascinato Israele a compiere una strage indiscriminata, trasformando, al cospetto del mondo, la sua guerra contro Hamas in una guerra contro il palestinesi. Questo è il vero significato strategico del “farsi scudo umano dei civili” da parte di Hamas (non solo quindi quello di riparo personale dei terroristi). E Israele si è coinvolto in questa strategia, che come nella lotta giapponese ha trasformato la sua potenza schiacciante in un danno di lungo periodo per Israele e per le sue ragioni. Quanto gioverà a Israele nel tempo l’aver fatto strage a Gaza, l’aver bombardato scuole e ospedali e popolazioni in trasferimento forzato, l’aver costretto alla fame, alla sete, alla mancanza di energia la popolazione di Gaza? E l’aver costretto alle fosse comuni la Striscia devastata, ammorbata dal lezzo dei cadaveri insepolti e dei morti sotto le macerie delle città e di campi profughi bombardati? Quanto gioverà l’aver risposto ai “crimini contro l’umanità” perpetrati da Hamas il 7 ottobre, con i “crimini contro l’umanità” perpetrati per settimane sulla striscia di Gaza?

4 -Terrorismo è farsi scudo di un’intera popolazione civile; ma terrorismo è anche fare strage di civili per lasciare il nemico senza scudo.L’indifferenza per le vite dei civili, o più precisamente la funzione strategica della strage di civili palestinesi mostra fino a che punto di degrado la destra sta trascinando lo spirito e la politica di Israele. Lo testimoniano le dichiarazioni di esponenti di primo piano. Eccone, di seguito, alcune tra le molte. 5

Il ministro dell'agricoltura Avi Dichter ha ammesso che quello che sta succedendo a Gaza oggi è l’edizione aggiornata della Nakba, cioè dell’espulsione dei palestinesi dalle loro terre.

Ram Ben-Barak del partito di incerta opposizioneYesh Atid e Danny Danon (Likud) dalle pagine del Wall Street Journal (WSJ) hanno raccomandato alle potenze occidentali di accogliere tutti gli abitanti di Gaza, un eufemismo che significa l’espulsione da Gaza dei suoi abitanti.

Bezalel Smotrich, ministro delle finanze, si è associato all’appello apparso sul WSJ: “Israele non potrà più accettare l'esistenza di un'entità indipendente a Gaza”. La stessa soluzione è stata proposta da Gila Gamliel, ministro dei Servizi Segreti in un editoriale apparso sul Jerusalem Post [6].

Giora Eiland, già capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale e consigliere del ministro della Difesa è stato esplicito in un editoriale pubblicato su Yedioth Ahronoth“Il modo per vincere la guerra più velocemente e a un costo inferiore per noi richiede il collasso del sistema della parte avversa e non la semplice uccisione di più combattenti di Hamas.

La comunità internazionale ci mette in guardia dal disastro umanitario a Gaza e da gravi epidemie... Dopotutto, gravi epidemie nel sud della Striscia di Gaza avvicineranno la vittoria e ridurranno le vittime tra i soldati dell’IDF. [8].

L’interruzione dell’acqua potabile, il bombardamento degli ospedali e infine l’estrema concentrazione della popolazione nel sud della Striscia, che aumenta la possibilità di contagio, trovano in queste parole non il senso di un non voluto “effetto collaterale”, ma quello di un intenzionale effetto “strategico”.

5 -Servirà tutto questo a distruggere Hamas o non piuttosto a degradare Israele, al suo interno e al cospetto del mondo? Hamas continuerà a sopravvivere nutrendosi della questione palestinese irrisolta, continuerà a reclutare tra i colpiti dalla guerra e tra gli oppressi dall’apartheid nei 

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territori occupati. Hamas la si potrà contrastare, ma non estirpare, con le armi, ma soprattutto la si dovrà combattere con una politica che apra una prospettiva di liberazione e autonomia per i palestinesi, che sia una buona ragione per non subire l’egemonia islamista di Hamas sulla loro causa.

Amos Oz, il grande scrittore israeliano militante per la pace tra israeliani e palestinesi, scriveva nel New York Times, l’11 aprile 1995: “Il Manifesto di Hamas dice: Per ordinedelProfeta, i musulmani devono combattere gli ebrei eucciderli, ovunque si trovino…La Palestina è un bene musulmano sacro fino alla fine dei tempi, nessuno ha il diritto di negoziare su di essa e rinunciare (a nessuna parte di)essa. Queste parole di Hamas sono un dono del cielo ai falchi estremisti di Israele, perché infliggono sfiducia all’opinione pubblica israeliana – una perdita di ogni speranza di raggiungere un compromesso…Hamas dovrebbe quindi essere visto come il collaboratore più efficace dell’estrema destra di Israele.”

Nei fatti, ci sono due schieramenti: da una parte israeliani democratici e palestinesi che in reciproco riconoscimento aspirano alla convivenza in reciproca autonomia; dall’altro, israeliani di destra e palestinesi oltranzisti che collaborano nel rifiuto di ogni compromesso e nel sabotare ogni processo di pace. E questi, dice Amos Oz, si regalano gli uni agli altri quello a cui entrambi aspirano: nessuna soluzione al problema di due popoli su una stessa terra, e se vince il più forte oggi piglia tutto, e piglierà tutto chi sarà più forte domani.

Di fatto la destra (il Likud e i nazionalisti religiosi) si sono appoggiati a Hamas, l’intrattabile, per mettere a tacere l’ANP e l’OLP, imbarazzanti perché potenziali interlocutori per un compromesso. Con l’espansione aggressiva degli insediamenti illegali hanno frantumato le terre palestinesi della Cisgiordania per seppellire 7 l’orizzonte di uno Stato palestinese, mentre hanno relegato Hamas nel ghetto affollato di Gaza, incubatrice di terrorismo per le sue condizioni di dipendenza soffocante.

Con lo stillicidio dei missili lanciati da Gaza, Hamas ha continuato ad aiutare la destra che si nutre dello stato di emergenza a bassa intensità. L’invasione del 7 ottobre è stata salto di scala, che ha rimesso freneticamente all’ordine del giorno la questione palestinese. Subito divaricata in due prospettive: da un lato si è rilanciata dagli Stati Unitie dall’Europa la formula “Due popoli due Stati”, logorata dai fatti compiuti ma ricca di criteri utili per riproporre un processo di pace, che potrà riprendere solo se ci sarà una pressione decisa degli Stati Uniti, dell’Europa e della diaspora ebraica contro la destra e in appoggio alle forze democratiche interne a Israele ; dall’altro la prospettiva su cui sta già lavorando concretamente la destra israeliana ponendola ad obiettivo di questa guerra: quella di una continuità estremizzata della sua politica di decenni, quella di una nuova e definitiva Nakba, della cacciata dei palestinesi dalle loro terre, rendendole invivibili con la forza, con le vessazioni sistemiche e col terrore di Stato.

Intanto la guerra continua, contaminando l’etica, la democrazia, l’immagine e l’economia di Israele. La mobilitazione massiccia dei riservisti è altrettanto lavoro mancato. Non si può abbattere il governo finché dura la guerra e ogni svolta necessaria a salvare la democrazia di Israele è rimandata. C’è un osceno conflitto di interesse di Netanyahu nel continuare la guerra; più essa perdura, più dura lui: più differisce la resa dei conti sui suoi errori che hanno esposto il paese all’attacco e ai rapimenti, e più 

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ritarda il confronto coi tribunali di Israele sulle sue imputazioni di corruzione. Con la continuazione della guerra per un’inattendibile estirpazione di Hamas, Netanyahu ridurrebbe Israele a proprio ostaggio a tempo indeterminato.

6 -Dopo quattro generazioni dalla sua nascita, Israele ha ancora l’energia di una rinascita dopo la catastrofe della Shoà, lo slancio inaugurale di un nuovo tratto della storia ebraica. Ma l’assalto di Hamas e la risposta di Israele su Gaza e in Cisgiordania segnano un nuovo crinale della storia degli Israeliani e dei palestinesi.

Finora Israele si è appoggiato su tre fattori di garanzia: il primo è il senso di debito verso gli ebrei per le secolari persecuzioni culminate nella Shoà, debito proprio, che l’Occidente ha scaricato in gran parte sui palestinesi accettando come necessità di Israele anche le sue infrazioni del diritto internazionale. Il secondo fattore di garanzia è stata la funzione geopolitica di Israele come potenza tecnologica e militare, alleata degli Stati Uniti e dell’Europa in una regione finora decisiva per il petrolio e per le rotte marittime. Il terzo fattore di garanzia è stata la memoria della Shoà, che ha relegato ogni ostilità contro Israele, motivata o meno, nell’ambito reietto e inaccettabile dell’antisemitismo. Ma la memoria della Shoà è stata declinata tra gli ebrei dentro e fuori Israele in due direzioni diverse : da un lato nel senso di avvertimento universale volto a prevenire, reprimere e punire ogni “crimine contro l’umanità”, da chiunque perpetrato e da chiunque subito; dall’altro nel senso di un abuso nazionalistico del vittimismo, al fine di sancire per Israele, in quanto “Stato ebraico”, lo statuto di vittima per eccellenza e per sempre, affinché non solo il suo giusto diritto ad esistere e difendersi, ma anche ogni sua prevaricazione assumesse i crismi della “legittima difesa”, o della legittima rivalsa.

In quale condizione si trovano ora questi fattori di garanzia nel contesto della guerre in corso che stanno elaborando nel sangue un nuovo assetto dei rapporti di forza in un mondo ormai multipolare, mentre l’asse del mondo si sposta verso oriente e verso altri mari? Ora che l’egemonia dell’Occidente sul mondo dopo cinque secoli è in declino, e con esso il suo debito verso gli ebrei va perdendo la sua centralità e parla diversamente ai 

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cinesi e agli indiani, misurandosi con altri stermini e altri genocidi? Ora che l’energia fossile del petrolio va declinando per effetto dei cambiamenti climatici che impongono altre fonti di energia, la funzione geo-politica di Israele deve trovare altri motivi, visto che anche quello di “baluardo della democrazia” è messo in forse dalla sua destra e dalla guerra?

La devastazione, la riduzione alla fame la strage indiscriminata di Gaza hanno arrecato un danno gravissimo alla Memoria della Shoà e al suo messaggio universale di denuncia dei"crimini contro l'umanità", memoria e messaggio che sono stati finora un baluardo importante contro l'antisemitismo. L'antisemitismo era già in ripresa per il diffondersi della destra in Occidente. Ma ora la convergenza tra l'antisemitismo da destra e quello da sinistra non si sommano ma si moltiplicano; la devastazione di Gaza li estendono come senso comune, come ovvietà, fondendo il pregiudizio di tradizione col post-giudizio politico. D'altra parte,

l'antisemitismo moderno è stato fondamentalmente un'imputazione politica contro gli ebrei: tali erano già ad esempio i "Protocolli dei Savi di Sion" che accusavano gli ebrei di complotto per conquistare il governo di ogni nazione e del mondo. La protezione contro l'antisemitismo si attesterà non sull'evidenza del genocidio del passato, ma su un tabù via via debilitato dall'evidenza dell'oggi: la distruzione e i massacri “ebraici” di Gaza. Che cosa diremo il Giorno della Memoria, il 27 Gennaio 2024?


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nota di redazione 

Gli articoli che pubblichiamo non sempre rispecchiano il punto di vista del nostro gruppo di lavoro. Siamo convinti che approfondimenti anche con opinioni diverse dalle nostre, possano aiutare a comprendere meglio le questioni che cerchiamo di portare all'attenzione e siano contributi per una discussione aperta al massimo.

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