(fonte InvictaPalestina)
La storia ricorderà che Israele ha commesso un olocausto
6 MARZO 2024 di Susan Abulhawa *
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Susan Abulhawa |
In questo momento a
Gaza e in Palestina sono le 20:00: è la fine del mio quarto giorno a Rafah e il
primo momento in cui ho potuto sedermi in un posto tranquillo per riflettere.
Ho provato a
prendere appunti, foto, immagini mentali, ma questo è un momento troppo grande
per un taccuino o per la mia memoria in difficoltà. Niente mi aveva preparato a
ciò a cui avrei assistito.
Prima di
attraversare il confine tra Rafah e l’Egitto ho letto tutte le notizie
provenienti da Gaza o su Gaza. Non ho distolto lo sguardo da nessun video o
immagine inviata dal territorio, per quanto fosse raccapricciante, scioccante o
traumatizzante.
Sono rimasta in
contatto con amici che hanno riferito della loro situazione nel nord, nel
centro e nel sud di Gaza – ciascuna area soffre in modi diversi. Sono rimasta
aggiornata sulle ultime statistiche, sulle ultime mosse politiche, militari ed
economiche di Israele, degli Stati Uniti e del resto del mondo.
Pensavo di aver
capito la situazione sul campo. Ma non è così.
Niente può
veramente prepararti a questa distopia. Ciò che raggiunge il resto del mondo è
una frazione di ciò che ho visto finora, che è solo una frazione della totalità
di questo orrore.
Gaza è un inferno.
È un inferno brulicante di innocenti che boccheggiano in cerca di aria.
Ma qui anche l’aria
è bruciata. Ogni respiro irrita la gola e i polmoni e vi si attacca.
Ciò che una volta
era vibrante, colorato, pieno di bellezza, possibilità e speranza contro ogni
aspettativa, è avvolto da un grigiore di sofferenza e sporcizia.
Quasi nessun
albero
Giornalisti e
politici la chiamano guerra. Gli informati e gli onesti lo chiamano genocidio.
Quello che io vedo
è un olocausto, l’incomprensibile culmine di 75 anni di impunità israeliana per
i ripetuti crimini di guerra.
Rafah è la parte
più meridionale di Gaza, dove Israele ha stipato 1,4 milioni di persone in uno
spazio grande quanto l’aeroporto di Heathrow a Londra.
Scarseggiano acqua,
cibo, elettricità, carburante e provviste. I bambini sono privati della scuola:
le loro aule sono state trasformate in rifugi di fortuna per decine di migliaia
di famiglie.
Quasi ogni
centimetro dello spazio precedentemente vuoto è ora occupato da una fragile
tenda che ospita una famiglia.
Non è rimasto quasi
nessun albero poiché le persone sono state costrette ad abbatterli per produrre
legna da ardere.
Non ho notato
l’assenza di verde finché non mi sono imbattuta in una bouganville rossa. I
suoi fiori erano polverosi e soli in un mondo deflorato, ma ancora vivi.
La discrepanza mi
ha colpito e ho fermato l’auto per fotografarla.
Ora cerco il verde
e fiori ovunque vada, finora nelle zone meridionali e centrali (anche se nel
centro è diventato sempre più difficile entrare). Ma ci sono solo piccole
macchie d’erba qua e là e qualche albero occasionale che aspetta di essere
bruciato per cuocere il pane per una famiglia che sopravvive con le razioni ONU
di fagioli in scatola, carne in scatola e formaggio in scatola.
Un popolo
orgoglioso con ricche tradizioni e consuetudini culinarie a base di alimenti
freschi è stato ridotto e abituato a una manciata di impasti e poltiglie
rimaste sugli scaffali per così tanto tempo che può essere avvertito solo il
sapore metallico e rancido delle lattine. Al nord è peggio.
Il mio amico Ahmad
(non è il suo vero nome) è una delle poche persone che hanno Internet. Il
segnale è sporadico e debole, ma possiamo ancora scambiarci messaggi.
Mi ha inviato una
sua foto in cui sembrava l’ombra del giovane che conoscevo. Ha perso più di 25
kg. Inizialmente le persone si sono
ridotte a nutrirsi di mangime per cavalli e asini, ma è finito. Ora stanno
mangiando gli asini e i cavalli.
Alcuni mangiano
cani e gatti randagi che a loro volta stanno morendo di fame e talvolta si
nutrono dei resti umani che ricoprono le strade, dove i cecchini israeliani
hanno preso di mira le persone che hanno osato avventurarsi nel campo visivo
dei loro mirini. I vecchi e i più deboli sono già morti di fame e di sete.
La farina è scarsa
e più preziosa dell’oro
Ho sentito la storia di un uomo nel nord che di
recente è riuscito a mettere le mani su un sacco di farina (che normalmente
costava 7 euro) e gli sono stati offerti gioielli, dispositivi elettronici e
contanti per un valore di 2.300 euro. Ha rifiutato.
Sentirsi impotente
A Rafah le persone
si sentono privilegiate nel ricevere farina e riso. Te lo diranno e ti sentirai
umiliato perché si offrono di condividere quel poco che hanno. E ti vergognerai
perché sai che puoi lasciare Gaza e mangiare quello che vuoi. Ti sentirai
piccolo qui perché non sei in grado di fare davvero nulla per placare il
bisogno e la perdita catastrofici e perché capirai che loro sono migliori di
te, poiché in qualche modo sono rimasti generosi e ospitali in un mondo che è
stato tanto e per così tanto tempo ingeneroso e inospitale nei loro confronti.
Ho portato tutto
quello che potevo, pagando il bagaglio extra e il peso di sei bagagli e
aggiungendone altri 12 in Egitto. Per me ho portato quello che stava nello
zaino.
Ho avuto la
lungimiranza di portare cinque grandi sacchi di caffè, che si è rivelato essere
il regalo più apprezzato dai miei amici qui. Preparare e servire il caffè ai
colleghi di lavoro del luogo in cui mi trovo è la cosa che preferisco fare, per
la gioia assoluta che ogni sorso sembra portare. Ma anche quello presto finirà.
Difficile respirare
Ho assunto un
autista per trasferire sette pesanti valigie di rifornimenti a Nuseirat [campo
profughi al centro della Striscia, ndt.], e lui le ha trasportate giù per
alcune rampe di scale. Mi ha detto che portare quelle borse lo faceva sentire
di nuovo umano perché era la prima volta in quattro mesi che andava su e giù
per le scale.
Gli ha ricordato di
quando viveva in una casa invece che nella tenda dove ora abita.
È difficile
respirare qui, letteralmente e metaforicamente. Una foschia immobile di
polvere, degrado e disperazione intride l’aria. La distruzione è così massiccia
e persistente che le particelle sottili della vita polverizzata non hanno il
tempo di depositarsi. La mancanza di benzina ha portato le persone a riempire
le loro auto di stearato, olio esausto che ha una combustione sporca.
Emette un odore
particolarmente sgradevole e una pellicola che si attacca all’aria, ai capelli,
ai vestiti, alla gola e ai polmoni. Mi ci è voluto un po’ per capire la fonte
di quell’odore pervasivo, ma è facile riconoscere gli altri. La scarsità di acqua corrente o pulita
compromette l’igiene di chiunque di noi. Tutti fanno del loro meglio nella cura
di sé stessi e dei propri figli, ma a un certo punto smetti di farci caso.
Ad un certo punto
l’umiliazione della sporcizia è inevitabile. Ad un certo punto aspetti
semplicemente la morte, proprio come aspetti anche un cessate il fuoco. Ma la
gente non sa cosa farà dopo il cessate il fuoco.
Hanno visto le foto
dei loro quartieri. Quando vengono pubblicate nuove immagini provenienti
dall’area settentrionale le persone si ritrovano insieme per cercare di capire
di quale quartiere si tratti, o da chi fosse la casa ridotta in quel cumulo di
macerie. Spesso questi video provengono da soldati israeliani che occupano o
fanno saltare in aria le loro case.
Cancellazione
Ho parlato con
molti sopravvissuti estratti dalle macerie delle loro case. Raccontano quello
che è successo con espressione impassibile, come se non fosse capitato a loro;
come se sia stata sepolta viva la famiglia di qualcun altro; come se i loro
corpi straziati appartenessero ad altri.
Gli psicologi
dicono che si tratta di un meccanismo di difesa, una sorta di intorpidimento
della mente finalizzato alla sopravvivenza. La resa dei conti arriverà più
tardi, se sopravvivranno.
Ma come si può
affrontare la perdita dell’intera famiglia, mentre si osservano i corpi
disintegrarsi tra le macerie e si avverte l’odore, mentre si attende il
salvataggio o la morte? Come si fa a considerare la cancellazione totale della
propria esistenza nel mondo: la casa, la famiglia, gli amici, la salute,
l’intero quartiere e il paese?
Nessuna foto della
tua famiglia, del tuo matrimonio, dei tuoi figli, dei tuoi genitori; anche le
tombe dei tuoi cari e dei tuoi antenati sono state rase al suolo. Tutto questo
mentre le forze e le voci più potenti ti diffamano e ti incolpano per il tuo miserabile
destino.
Il genocidio non è
solo un omicidio di massa. È una cancellazione intenzionale. Di storie. Di
ricordi, libri e cultura. Cancellazione delle
risorse di una terra.
Cancellazione della
speranza in e per un luogo. Cancellazione come impulso alla distruzione di
case, scuole, luoghi di culto, ospedali, biblioteche, centri culturali, centri
ricreativi e università.
Il genocidio è la
demolizione intenzionale dell’umanità di un altro. È la riduzione di un’antica
società orgogliosa, istruita e ben funzionante a oggetti di carità privi di
mezzi, costretti a mangiare l’indicibile per sopravvivere; vivere nella
sporcizia e nella malattia senza nulla in cui sperare se non la fine delle
bombe e dei proiettili che piovono sui loro corpi, sulle loro vite, sulle loro
storie e sul loro futuro. Nessuno può
pensare o sperare in ciò che potrebbe accadere dopo un cessate il fuoco. Il
massimo possibile delle loro speranze, in questo momento, è che i bombardamenti
cessino.
È il minimo che si
può chiedere. Un minimo riconoscimento dell’umanità dei palestinesi.
Nonostante Israele
abbia tagliato l’energia e Internet i palestinesi sono riusciti a trasmettere
in streaming l’immagine del loro stesso genocidio a un mondo che permette che
questo vada avanti. Ma la storia non
mentirà. Ricorderà che nel 21° secolo Israele ha perpetrato un olocausto.
(**. Scrittrice palestinese -americana nata in Kuwait , attivista per i diritti umani e sostenitrice dei diritti degli animali. È autrice di numerosi libri e fondatrice di un'organizzazione non governativa, Playgrounds for Palestine. Vive in Pennsylvania . - Palestinian-American writer and human rights activist. She is the author of
several books, and the founder of a non-governmental organization, Playgrounds
for Palestine.)
nota di redazione
Gli articoli che pubblichiamo non sempre rispecchiano il punto di vista del nostro gruppo di lavoro. Siamo convinti che approfondimenti anche con opinioni diverse dalle nostre, possano aiutare a comprendere meglio le questioni che cerchiamo di portare all'attenzione e siano contributi per una discussione aperta al massimo.